MITOLOGIA
Fino al XIX secolo gli astronomi usavano disegnare in questa porzione di cielo due figure, quella dell’aquila e quella di Antinoo; ognuna di esse aveva il proprio mito. L’aquila rappresenta l’animale in cui si trasformò Zeus per rapire il giovane Ganimede, mentre Antinoo era un giovane amico dell’imperatore Adriano. Si narra che Zeus un giorno vide il giovane pastore Ganimede mentre costui guidava al pascolo il bestiame sui monti dell’Ida. Nel vederlo lo giudicò il giovane più bello della Terra e decise di rapirlo per farne il coppiere degli Dei; così il divino sovrano, si trasformò in una maestosa aquila e discese in picchiata dalle vette dell’Olimpo. Non vedendo rincasare Ganimede, Troo, suo padre, iniziò a disperarsi, ma prontamente un araldo del padre degli dei giunse da lui a spiegargli l’accaduto e a rassicurarlo sul destino di Ganimede. L’araldo disse anche che Zeus, per ricompensare Troo della sottrazione del suo primogenito, avrebbe assicurato a lui e alla sua discendenza la signoria sulla terra che abitava (che da lui prese il nome di Troade) e ingenti ricchezze. Bisogna poi ricordare che la figura dell’aquila era uno dei simboli di Zeus e che per questo motivo figura in un gran numero di miti. Per quanto riguarda la storia di Antinoo, un oracolo aveva predetto che l’imperatore Adriano si sarebbe trovato in un momento di estrema difficoltà e soltanto la persona che egli amava maggiormente avrebbe potuto salvarlo col proprio sacrificio; i fatti dimostrarono la veridicità del responso. Durante un viaggio in Egitto il giovane pupillo di Adriano si gettò infatti nel Nilo al posto del sovrano salvandogli la vita; il regnante ne fu tanto commosso che, successivamente, ordinò a un proprio astronomo di corte di trovare un posto tra le costellazioni per poter dare memoria perpetua al suo eroico amico. Nell’800 però l’astronomo tedesco Argelander eliminò questo personaggio dai panorami celesti decretando la superiorità della divina aquila.